Sono certo di non dire nulla di nuovo se affermo che sono state settimane difficili, molto, per noi del credito, delle esattorie e delle assicurazioni come per tutte le altre categorie professionali coinvolte e investite, nostro malgrado, da questa crisi dalle inimmaginabili conseguenze. Noi come, in realtà, tutti gli italiani.
La nostra categoria, in particolare credito e assicurazioni, fin dal primo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stata inserita nel codice Ateco che ne ha riconosciuto così l’essenzialità.
Durante questa straordinaria situazione di emergenza sanitaria, e a seguire economica e sociale, abbiamo quindi sempre garantito un servizio continuo in tutti i territori del Paese, anche nelle cosiddette “zone rosse”. Siamo stati in prima linea e abbiamo lavorato ogni giorno, con professionalità e dedizione, senza far mai mancare la nostra presenza e il nostro supporto ai cittadini.
Ognuno di noi ha svolto il proprio lavoro scoprendo in esso una dimensione solidale; ognuno di noi ha vissuto la responsabilità di sentirsi ed essere parte di un ingranaggio fondamentale per la tenuta del nostro Paese. Questo ha prodotto, purtroppo, un costo elevatissimo per la categoria: abbiamo perso 16 colleghi, tra cui 2 nostri iscritti, e avuto migliaia di contagiati. Solo grazie alla quasi quotidiana “cabina di regia” fra le Organizzazioni sindacali e l’ABI siamo riusciti a contenere il numero delle vittime; grazie ai “Protocolli” davvero innovativi abbiamo raggiunto livelli di sicurezza per le Lavoratrici e Lavoratori realmente soddisfacenti.
Ciononostante in Italia l’opinione pubblica continua a confondere i bancari con i banchieri e a provare antipatia indistintamente per entrambe le figure. A questa confusione si sono aggiunti alcuni errori commessi dalle istituzioni, nazionali ed europee. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel mentre di una delle tante conferenze stampa serali che si sono susseguite nel corso della quarantena, ha annunciato al Paese in diretta tv la possibilità di poter andare in banca e chiedere una cifra che, in base al proprio bilancio aziendale, si aggirava intorno ai 25.000 euro. Senza specificare che a concedere o meno la somma sarebbe stata la banca, non il bancario; senza fare alcun distinguo tra chi ordina e chi si trova ad eseguire. Il ritardo poi, di oltre 10 giorni, dell’assenso di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha peggiorato una situazione già compromessa.
Fin da subito abbiamo denunciato e rimarcato la farraginosità del Decreto Liquidità e le responsabilità delle banche che, ad esclusione di alcune eccezioni, non si erano organizzate: non fornivano informazioni precise alle Lavoratrici e ai Lavoratori, inventavano ulteriori documenti da allegare alle pratiche arrivando perfino a chiedere che le somme previste nel Decreto dallo Stato (in verità CDP e SACE) andassero a garantire prestiti attuali. Abbiamo fatto proposte alla Commissione Finanza della Camera per modificare le norme.
Tutta questa disorganizzazione unita a una cattiva informazione non aiutano i cittadini in prima battuta e il sistema Paese tutto a trovare una strada per iniziare il lungo percorso della ripresa. Non credo esista una sola ricetta per uscire da questa situazione di crisi ma bisogna iniziare a buttare le basi per un inizio, che forse non sarà migliore o peggiore ma certamente sarà mutato e diverso. Una semplificazione delle norme; una maggiore organizzazione delle banche e una loro migliore gestione per andare incontro alle giuste richieste delle imprese; una più corretta ripartizione delle responsabilità che tuteli quanti devono deliberare le pratiche, ad esempio, possono essere i primi passi per accompagnare la ripresa economica e sociale del Paese.
Al contempo possono contribuire ad abbassare la tensione sociale nel Paese e il clima d’odio che ha travolto i bancari.
Oggi la nuova battaglia che ci siamo trovati ad affrontare, e che non è ancora giunta al termine, è tra salute e profitto. In questo contesto è quanto mai necessario che ognuno faccia il suo e che si proceda insieme, uniti, verso lo stesso obiettivo: il rilancio del Paese. Parliamo della salvaguardia dei livelli occupazionali e della ripartenza del sistema industriale e produttivo: sono due aspetti che vanno di pari passo. Per questo credo sia il momento di ricostruire il futuro dei nostri settori (dall’emergere di nuove figure professionali alla necessità di una maggiore innovazione tecnologica) e di sederci tutti assieme, tutte le parti sociali interessate, attorno a un tavolo per capire cosa fare e quale direzione seguire.
Ho sempre pensato che le fasi che si sarebbero alternate dopo la cosiddetta fase uno sarebbero state più difficili, delicate e complicate da gestire. Credo possano essere anche l’opportunità per una riflessione interna e per interrogarci sulla figura del sindacalista e il ruolo del sindacato. Gli effetti della pandemia si faranno sentire anche su questo, sul nostro modo di relazionarci con le persone: è il tempo di fare un salto di qualità per continuare ad essere ancora portatori di idee e proposte per il nostro settore. Dobbiamo essere coloro che fanno opinione, che portano opinioni e idee future. Dobbiamo avere la visione del futuro e, uniti, continuare a lottare. Dobbiamo, infine, riscoprire quanto il lavoro sia sinonimo di dignità e ci renda liberi, uniti e solidali.