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Il rapporto Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022” (cosiddetto rapporto Colao) predisposto dal Comitato di esperti in materia economica e sociale per il Presidente del Consiglio dei Ministri, pur nella sua completezza ha “sorvolato”, a nostro avviso, su due settori: il credito e le assicurazioni. Settori che sono centrali se si vuole ridisegnare un sistema economico e sociale in grado di affrontare gli shock economici originati da eventi sanitari e climatici che, sempre più frequentemente, avvengono nel nostro Paese e nel mondo.

L’importanza del settore bancario per la crescita delle imprese e la tutela del risparmio per le famiglie, al netto di pochi casi di “risparmio tradito” e delle iniziali difficoltà delle banche di procedere con i finanziamenti previsti dai vari DPCM nell’era COVID-19, devono essere riconosciute. Il credito serve alle imprese italiane che preferiscono i prestiti agli aumenti di capitale, nonostante il legislatore cerchi di favorire l’incremento del patrimonio aziendale.

La necessità di aiutare le persone nell’allocazione efficiente dei risparmi, per affrontare periodi di non lavoro o per futuri investimenti; il bisogno sempre crescente di costruire una pensione integrativa da affiancare a quella dello Stato; la necessità di avere polizze sanitarie per affrontare cure che, nonostante le ottime prove fornite dal sistema sanitario nazionale durante il COVID-19, non sono equamente garantite né in tutto il territorio nazionale né all’interno delle stesse regioni per cui il ricorso alla sanità privata diventa una
necessità e non una scelta, sono tutti fattori che impongono un ripensamento della relazione tra istituti di credito e assicurazione e clientela.

Per questo riteniamo utile soffermarci sul ruolo del sistema bancario, anche alla luce del report che la Banca Mondiale elabora annualmente confrontando la capacità di “fare business” di 190 paesi nel mondo. Nel rapporto “Doing business 2020”, che analizza dieci indicatori che favoriscono il business in un Paese rispetto ad altri, l’Italia occupa il 58° posto; se consideriamo solo i 27 Paesi dell’Unione Europea, il 23° posto. Analizzando il solo settore del credito notiamo che, a livello mondiale, ci sono 118 Paesi dove è più facile
ottenere credito rispetto all’Italia e, se lo riportiamo nell’Europa a 27, l’Italia è al 24° posto.

Dunque, visti i dati vi è un problema nel settore del credito che influenza le performance delle imprese e, di riflesso, la competitività dell’azienda Italia nel mondo e in Europa.
Considerato che la nostra economia è banco-centrica crediamo sia necessario un focus sul settore perché rischiamo di pulire lo specchietto dell’auto, cambiare le gomme, rifare le strade ma poi non abbiamo né la benzina né la corrente elettrica per far viaggiare l’automobile. Se nel settore auto è in atto una transizione dal motore termico a elettrico, anche nel settore bancario vi è una transizione che parte dallo sportello e arriva alla digital bank dove il ruolo di fintech e insurtech diventa sempre più importante.

Diventano importanti non solo i nuovi prodotti ma anche come renderli disponibili agli utenti. Per questo fanno riflettere alcuni dati di un’indagine della Banca d’Italia1 a cui hanno partecipato 165 intermediari, pari al 90% del sistema finanziario, di cui 50 gruppi bancari e 70 banche non appartenenti a gruppi bancari. L’indagine evidenzia come gli investimenti nel segmento fintech nel periodo 2017-2020 siano stati pari a 624 milioni di euro. Il 61,9% di questi investimenti fa capo a 5 soggetti: se si considerano i primi dieci intermediari
parliamo di oltre il 75% degli investimenti.

Crediamo non possa più essere assente un dibattito sul credito e su chi e come lo eroga, per non minare la concorrenza e la libertà di scelta che sono uno dei principi che guidano le decisioni della Commissione europea.

Non possiamo non includere all’ interno del settore del credito e delle assicurazioni il ruolo che l’educazione finanziaria avrà in futuro per far aumentare l’inclusione sociale, diminuire il gender gap e ridurre la fragilità finanziaria delle imprese e delle famiglie, la cui mancanza di denaro non è sempre “colpa della banca” ma anche il frutto di decisioni individuali prese senza possedere le adeguate conoscenze.

I dati dell’indagine OCSE-PISA (Programme for International Student Assessment) del 2015 evidenziano come nel nostro Paese solo il 6,5% degli studenti, contro una media OCSE dell’11,5%, sia in grado di raggiungere un’elevata competenza finanziaria che consenta di mettersi al riparo da truffe finanziarie e analizzare correttamente i prodotti finanziari.

In Italia, come evidenziato dal rapporto “Financial literacy around the world” nel 20152, solo il 37% degli adulti ha conoscenze finanziarie contro il 66% dei tedeschi; il 71% di norvegesi e svedesi; il 49% degli spagnoli; il 52% dei francesi; il 67% dei britannici e il 57% degli statunitensi.

Il credito e le assicurazioni e le informazioni finanziare diventano allora vitali per le scelte delle persone e il decisore politico deve essere cosciente che un cittadino in grado di curare le sue finanze crea benessere alla società così come un sistema bancario efficiente, concorrente e reattivo è un vantaggio per tutta la collettività.

Scarica il contributo del Centro Studi Uilca Orietta Guerra, diretto da Roberto Telatin, per la Uil

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